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Augusta, premiato il libro dei ricordi di Patania: il pescatore che sogna da sempre un museo del mare

Il libro potrebbe far parte di un museo del mare insieme ai vecchi attrezzi come nasse, bussole scandagli e quant’altro si usava prima per la pesca che il pescatore espone ogni anno per la festa di sant’Andrea

Parte dalla fine dell’800, dai ricordi del suo bisnonno, pure lui pescatore e arriva fino agli anni ’80 del secolo scorso “Di acqua di mare e conzo”, il libro di Domenico Patania, augustano pescatore da generazioni e ormai in pensione, che continua a sognare un museo del mare ad Augusta. Il racconto di memorie, che potrebbe pure avere un seguito, è stato premiato con una  menzione speciale alla diciottesima edizione del premio nazionale “Più a sud di Tunisi” che si è tenuto nei giorni scorsi nella chiesa di San Gaetano, a Portopalo.

E altro non è che la trascrizione, fedele anche nella lingua, dei quattro quadernoni che l’ottantacinquenne  ha cominciato a scrivere  negli anni scorsi volendo fissare nero su bianco  la sua voce e i suoi ricordi delle varie battute di pesca e delle tecniche  utilizzate  prima con la barca a remi,  poi a vela e infine a motore.

Nelle acque della  Calabria, di Corfù, Porto Empedocle e  Portopalo fin dove si è spinto prima con la barca della famiglia, finchè è vissuto il padre, poi da solo. Un mestiere e uno stile di vita iniziato a  soli  otto anni, a metà degli anni ’40,  quando pur essendo un bravo alunno e con grande dispiacere del maestro di allora, Patania smise di frequentare la scuola perchè doveva aiutare il padre, pescatore come il nonno e il bisnonno, insieme al fratello.

 “Ha sentito subito questo grande senso di responsabilità per la famiglia a cui doveva dimostrare che doveva fare bene e che ce la poteva fare” – racconta Valeria Paci, docente di Lettere e  curatrice del volume che ha lavorato per diversi anni e a fasi alterne con Patania. In primis per decifrare e cercare di capire quello che c’era scritto nei quaderni e assegnarli anche un ordine cronologico.

“Non ho alterato i racconti perché alla fine il loro valore non è tanto letterario, ma storico perchè – aggiunge- ci sono le sue parole del diario che ho voluto mantenere, molte  delle quali sono in siciliano e così sono rimaste, con delle piccole note esplicative a piè di pagina per far capire a tutti un dialetto spesso stretto ed antico, ma anche più specificatamente tipico della pesca e  non  del tutto comprensibile a volte anche a me stessa”.    

Il libro potrebbe  essere adottato nelle varie scuole cittadine e anche far parte di un museo del mare: “il museo è un sogno che ha da sempre, ha una casa piena di vecchi attrezzi come nasse, bussole scandagli e quant’altro si usava prima  per la pesca che tira fuori ogni anno per la festa di sant’Andrea” e che meriterebbero luoghi anche istituzionali dove poter esser collocati per insegnare, soprattutto, che il mare è una miniera e una fonte di ricchezza e come tale va rispettato. Non proprio come  avviene oggi “perchè il mare  non  è tutelato adeguatamente, inquinato da plastiche  o maltrattato da una pesca troppo selvaggia come quella giapponese dei tonni, troppo indiscriminata e che non si rispetta i ritmi della natura”.  Una nota polemica solo accennata e sfiorata nel libro, ma molto sentita dall’autore che l’ha ribadita durante la premiazione del suo libro.

 


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