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Augusta, 40 anni fa lo scoppio dell’Icam, Legambiente: “memoria corta, non ha insegnato granchè”

Nel ricordare uno dei più rilevanti incidenti industriali i circoli di Augusta, Melilli, Priolo e Siracusa ritengono che il tempo sembra "aver cancellato la memoria e la consapevolezza del rischio con il quale sono ancora costrette a convivere le popolazioni"

Il 19 maggio di 40 anni fa le popolazioni di Augusta, Priolo e Melilli assistettero allo scoppio dell’Icam, (oggi Versalis), che causò morti, feriti e la fuga dai tre comuni davanti ai boati, alla fiamme e ai funghi di fuoco alti centinaia di metri che  minacciavano di coinvolgere nel rogo l’intera zona industriale. Lo ricorda oggi i circoli di  Legambiente Augusta, Melilli, Priolo e Siracusa che sottolineano come quello del 1985 fu uno dei più rilevanti incidenti registrati nel nostro paese, se non per numero di vittime, sicuramente per la magnitudo dell’evento, per la massa di popolazione indotta alla fuga nel timore dell’effetto domino e di una possibile nube tossica, per la quantità di inquinanti rilasciati in atmosfera e, non ultimo, per la constatazione che nelle città non esistevano vie di fuga adeguate a permetterne l’evacuazione.

L’Icam – Impresa congiunta Anic Montedison – era entrata in funzione nel 1981 con una capacità produttiva di circa 560.000 tonnellate/anno di etilene, 375.000 t/a di propilene e 260.000 t/a di miscela butadiene. Solo 4 anni dopo, il 19 maggio 1985 alle 23.25, l’incendio del cracking dell’etilene e una serie di 5 esplosioni distrusse quasi interamente l’impianto.

“L’impianto fu ricostruito in poco più di un anno, ma – si legge in una nota- molto più tempo ci volle per costruire quelle vie di fuga di cui si era constatata la mancanza. E ancora parecchi anni passarono per avere il Piano di emergenza esterna che rimane però uno strumento poco conosciuto dai cittadini e ancor meno praticato. Avevamo creduto e sperato che dopo un incidente di quella portata e le misure di depotenziamento dei rischi individuate nel Piano di risanamento ambientale, arrivato 10 anni dopo lo scoppio,  si sarebbe davvero messa mano alla delocalizzazione del deposito Maxcom di Augusta, del parco serbatoi in SG14, di quelli eccessivamente prossimi alle abitazioni e della linea ferrata che attraversa il petrolchimico”.

Gli ambientalisti invece, constatano che il tempo sembra “aver cancellato la memoria e la consapevolezza del rischio con il quale sono ancora costrette a convivere le popolazioni. Mentre alcuni impianti – per vetustà o difficoltà di mercato – sono stati fermati dalle stesse aziende (fertilizzanti, cloro-soda , ossido di propilene. aromatici) ne sono sorti altri a rischio di incidente rilevante come, per esempio, l’IGCC Isab/Goi e il deposito GM Gas accanto alla ferrovia alle porte di Siracusa nord”.

E ritengono ancor “più grave che si sia consentito l’insediamento di tanti centri commerciali e ipermercati a poca distanza da impianti e ciminiere. Si dovrebbe comprendere dagli incidenti che continuano a verificarsi in zona industriale che – proseguono- tali insediamenti commerciali sono incompatibili con l’esigenza di garantire livelli di sicurezza accettabile e la rapida evacuazione degli addetti e delle persone da tali strutture in caso di incidente rilevante. Con scarsa considerazione dei rischi si continua ancora a proporre nel porto di Augusta un deposito di Gas naturale liquefatto per il rifornimento delle navi mentre l’Unione europea indica nuovi sistemi e strategie per decarbonizzare il trasporto marittimo”.

Non bisogna dimenticare né sottovalutare i tanti incidenti, incendi e scoppi che continuano a verificarsi, tra i quali quello del 26 agosto 2024 quando un’anomalia nell’impianto di raffinazione Isab Sud provocò la fuoriuscita di circa 17 tonnellate di idrocar­buri che furono  “spruzzati” oltre i confini di stabilimento e ricaddero sotto forma di “pioggia oleosa” nei vicini agglo­merati urbani. Oppure quello del 12 novembre 2024 dove il blocco del compressore gas P2002 della Icam/Versalis ha causato l’invio in torcia di ingenti quantitativi di gas. Attivazioni delle torce proseguite nei mesi successivi – per altre anomalie o fermate/riavviamento – con migliaia di tonnellate di gas smaltite in fumate nerissime e sfiaccolamenti tanto spettacolari quanto allarmanti per gli abitanti del polo. O ancora quello più recente dell’11 aprile 2025 con l’incendio all’impianto Butamer della Sonatrach nel quale due lavoratori hanno riportato gravi ustioni.

Secondo Legambiente nelle città “è palese la scarsa considerazione in cui si tengono le previsioni dei Piani di protezione civile e il caos e le problematiche che  derivano da questa omissione allorché si autorizzano nuove edificazioni, lottizzazioni e insediamenti commerciali che compromettono la praticabilità di zone e di assi viari indispensabili per la stessa funzionalità del Piano. È poi irresponsabile la mancanza di vigilanza sui piani; ciò di fatto consente che le aree di raduno siano occupate senza criterio e che le strade e le vie di fuga siano troppo spesso ostruite da lavori, dehors, automezzi in sosta selvaggia, fiere e mercati rionali improvvisati. Quasi certamente Icam/Versalis entro quest’anno si fermerà e chiuderà con la promessa di sostituire l’impianto di etilene con la costruzione di una bioraffineria destinata alla produzione di biojet e di un impianto per il riciclo chimico della plastica”- conclude Legambiente che si augura che venga data certezza e sia mantenuta l’occupazione delle circa 1400 persone che, tra diretto e indotto, lavorano nel comparto della chimica.

E ribadisce con forza “la richiesta di  assicurare adesso e subito sicurezza nell’intera zona industriale. Resta il rammarico che questa sicurezza le imprese e le istituzioni preposte non siano state in grado di garantirla durante la vita produttiva dell’Icam – costellata di tanti piccoli e grandi incidenti –  per troppi anni motivo di ansia e preoccupazione per lavoratori e popolazione”.


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